Un incontro a Vicenza tra famiglie e Janet Treasure, psichiatra e figura autorevole nel campo degli studi sul comportamento dei disturbi alimentari
“Dai disturbi alimentari si può guarire. E le famiglie svolgono un ruolo fondamentale”. Con questa premessa si è aperto il convegno dal titolo “Famiglie e disturbi del comportamento alimentare”, un incontro pubblico presieduto dalla professoressa Janet Treasure del King’s College di Londra, nota psichiatra a livello mondiale per i suoi studi pionieristici nell’approccio collaborativo con i pazienti e le loro famiglie per il trattamento dei disturbi alimentari, dal professor Paolo Santonastaso e dalla dottoressa Valentina Cardi dell’Università di Padova. La conferenza è stata organizzata dall’azienda ULSS 8 Berica nell’ambito del progetto Bridge, con l’obiettivo di raccontare quanto sia necessario e strategico il ruolo della famiglia nel trattamento dei disturbi alimentari. Tenutosi a Palazzo Bonin Longare a Vicenza, il 25 ottobre, il convegno ha visto la partecipazione numerosa di familiari di persone che in questo momento si trovano ad affrontare queste problematiche. “Il lockdown ha lasciato un segno indelebile – ha spiegato il professor Santonastaso -. Sulla base di dati clinici, derivati dalla nostra esperienza ci siamo resi conto che si è abbassata l’età d’esordio di queste problematiche. Inoltre, dopo la pandemia, il numero di adolescenti che si è presentato con questi disturbi nelle nostre strutture, è aumentato. Le liste d’attesa per la prima visita si sono allungate in modo esponenziale. È arrivato il momento che le Amministrazioni entrino in contatto con queste problematiche”. A confermare le parole del professore Santonastaso ci sono i dati. Nell’ultimo anno, infatti, a Vicenza, il centro di riferimento provinciale per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare ha registrato 500 pazienti.
Nel corso dell’incontro, la professoressa Treasure ha spiegato come e perché è fondamentale il coinvolgimento delle famiglie. Il modello di lavoro Maudsley, sul quale si basano i suoi studi e quindi le sue sperimentazioni, ha come obiettivo quello di ridurre lo stato di ansia e di angoscia nel quale vivono le famiglie e fornire loro strumenti di comunicazione necessari per aiutare la persona cara a migliorare la propria autostima, sviluppare la capacità di ripresa e iniziare a cambiare. La parola chiave è proprio “cambiamento”. Il disturbo alimentare paralizza chi ne soffre e i familiari, impedendo a questi ultimi di aiutare in modo efficace. Questo comporta il mantenimento di schemi di comportamento rigidi che possono inavvertitamente mantenere o alimentare la malattia. Dalla ricerca è emerso che, se ai familiari viene insegnato a rompere i propri schemi di comportamento rigidi, essi saranno in grado di promuovere il cambiamento nel paziente e diventare così ponte tra chi soffre e i professionisti che possono sostenere e accompagnare questo cambiamento verso la cura. Questo modello si basa sulla comprensione da parte dei familiari dell’impatto psico-sociale e biologico del disturbo alimentare e fornisce un programma basato sulle competenze per aiutare a migliorare questi comportamenti.
“Si può guarire dai disturbi alimentari – ha spiegato la professoressa Treasure – e la famiglia svolge un ruolo davvero importante per la gestione e, quindi, il superamento dei problemi legati a questi disturbi, perché è in grado di cogliere i primi segnali e incoraggiare il proprio figlio a intraprendere il percorso di guarigione. Quando una famiglia risolve il problema dei disturbi alimentari di un proprio caro, spesso continua, attraverso l’attività di volontariato, ad aiutare altre famiglie che stanno vivendo la stessa situazione”.
Un valore, quest’ultimo, che fa bene alla comunità, in una sorta di circolo virtuoso che consente di mettere in campo strategie sempre più efficaci contro il problema dei disturbi alimentari.